Il nome di un’azienda è l’identità stessa dell’azienda.
Spesso è proprio il nome a contribuire attivamente al successo delle strategie di marketing e del posizionamento sul mercato di appartenenza.
Non sempre però il brand aziendale è imperituro. Esistono momenti storici che suggeriscono un cambio di nome o rebranding.
Questa operazione, che tende a mutare l’immagine societaria partendo dal nome, dal logo e/o dal payoff, parte solitamente da diverse motivazioni.
In alcuni casi è fondamentale per un brand che non gode più di una buona reputazione, in altri per un riposizionamento sul mercato. In altri ancora per riaccendere l’interesse verso un dato prodotto.
Anche le tipologie sono diverse. In termini generici esistono due tipi di “cambiamento”: l’evolutivo o il rivoluzionario. Nel primo caso si tratta di ritocchi, nel secondo si verifica invece una vera e propria demolizione che mira a sconvolgere, in alcuni casi, anche il modo stesso di fare business.
Tante aziende sono passate da questa fase cruciale (Apple, Pepsi, Google, Nissan, etc…), ma non sempre si è trattato di operazioni vantaggiose.
Puntare su una decisione così importante è come accettare una sfida in cui ponderare bene i rischi correlati, risulta l’aspetto decisivo per le sorti dell’iniziativa.
In linea di massima un buon rebranding dovrebbe contare di almeno 4 fasi:
- L’analisi dei propri punti di forza.
- Le prime linee guida su cui costruire il nuovo brand.
- L’ideazione della nuova e definitiva identità (logo, sito, brochure, materiale promozionale, etc…) tenendo sempre presente la propria storia e la propria mission.
- La scelta della campagna di comunicazione più efficace per informare il mondo esterno degli avvenuti cambiamenti.
Le decisioni sono davvero delicate e, prima di effettuarle, il consiglio è quello di affidarsi a società di comunicazioni serie e affidabili, con le quali iniziare un serio processo di analisi.
